Camminavo e pensavo a te
Pellegrinaggio a Santiago de Compostela

Sono sull’aereo da Helsinki a Stoccolma e mi chiedo se è vero che sono in viaggio verso Santiago de Compostela.
Erano tanti anni che ci pensavo ma… ecco siamo a Stoccolma devo cambiare aereo e corro per trovare la coincidenza.
Ho fatto i biglietti e messo giù l’itinerario con la mia modesta pratica del computer e se ora non ho abbastanza tempo fra un aereo e l’altro la colpa è mia.
Riprendo fiato comodamente seduto sull’aereo diretto a Madrid.
Poi di nuovo di corsa dentro l’aeroporto di Madrid e riprendo fiato solo sull’aereo diretto a Pamplona.
Vado a Pamplona in albergo.
Il giorno dopo con quattro ore di treno arrivo a Leon, è già pomeriggio inoltrato e passo la serata girando la città.
Compro un paio di orecchini, due piccole conchiglie d’argento, per la mia Marita di cui ho già nostalgia, mi seguiranno per tutto il viaggio.
Sono vedovo dopo più di trenta anni di matrimonio, ma da alcuni mesi ho trovato Marita, una vecchia amicizia e me ne sono innamorato pazzamente.
Finalmente, il terzo giorno, comincia il mio cammino verso Santiago, sono solo, ma ho con me il mio migliore accompagnatore: me stesso.
Mi aspettavo di essere in campagna, sì sono in campagna, ma camminando lungo una statale con tutto il traffico che c’è mi sento più un pedone che un pellegrino.
Mi fermo a Villadangos in un rifugio quasi deserto, ho visto pochi pellegrini durante la giornata, è possibile che siamo così pochi?!
Riparto di buon mattino, sempre costeggiando la statale. Passa un’ambulanza e il conducente mi fa grandi saluti suonando anche la tromba. Contraccambio vivacemente, chissà, uno di questi giorni potrei essere un suo cliente!
Il caldo si fa sentire. Arrivo a metà pomeriggio a Astorga e al rifugio ho la sorpresa di trovare un assalto internazionale ai posti letto, sembra che tutti vogliano dormire qui.
Dopo lunga attesa anche io ho il mio posto, ma vengo guardato male quando chiedo di volere affittare un sacco-lenzuolo. Purtroppo mi sono dimenticato di portarlo. L’inserviente, uomo di mezza età, mi rimprovera di non essere attrezzato anche se vedo che di sacchi-lenzuolo ne ha a decine per pellegrini come me.
Più tardi lo stesso tipo viene nella camerata dove mi sono sistemato e ancora mi indica a diversi altri pellegrini spagnoli sentenziando che se uno viaggia senza sacco-lenzuolo non è un vero pellegrino. Non parlo spagnolo ma lo capisco, è così vicino alla mia lingua-madre, rimango zitto e pensando nella mia lingua-moglie, il finnico, lo mando a quel paese.
Dormo malamente, manca l’aria, fa caldo, alle cinque mi sveglio al rumore delle cerniere lampo.
Ho voglia di caffè, ma ci vorrà ancora tempo prima di trovare un bar aperto. A metà giornata il caldo raggiunge i 32-34 gradi, non siamo ancora alla metà di settembre e io avrei voglia di addormentarmi sotto qualche albero.
Arrivo a Rabanal giusto in tempo per assistere ad un altro assalto internazionale ai posti letto.
Mi viene dato il posto in una camerata con altre 24 persone, uomini e donne, e anche il sacco-lenzuolo stavolta senza nessun commento, poi la coda per le docce...
Dormo malamente, manca l’aria, fa caldo, il puzzo di piedi è da tagliare col coltello... chi cammina senza indossare leggeri sandali non è un vero pellegrino, altre calzature non sono ammesse, vorrei aggiungere io...
Alle cinque mi sveglio al rumore di cerniere lampo, qualche benedetto accende la luce per cercare la propria roba. Nella branda accanto alla mia dorme una giovane, credo spagnola, che oltre a non avere il sacco-lenzuolo è vestita solo di uno string di misura inferiore a tutti i regolamenti europei.
Spengono di nuovo la luce, ma ormai sono sveglio, raccolgo le mie robe e mi incammino insieme a un francese, ancora nel buio, prima dell’alba.
La salita verso la Cruz de Ferro porta via il fiato ad ambedue, sicché lui non ha bisogno di indovinare il mio francese di scuola media, né io di indovinare il suo francese della Bretagna.
Più tardi lui trova altri pellegrini francesi e io mi fermo per mangiare. Ci ritroveremo altre volte sul camino.
Il caldo di mezzogiorno si fa sentire, due notti dormite male mi danno fiacca e ogni ombra mi attira per andare a riposare. Da una parte è buono che di ombre ce ne siano poche....
L’ultimo messaggio telefonico che ogni sera ci scambiamo con Marita, parlava chiaro: "Caro, lascia stare i rifugi, vai in albergo e riposati... ".
Per essere in regola con il cammino le ginocchia mi fanno giacomo-giacomo, però arrivo lo stesso a Ponferrada... e vado al primo albergo che trovo!
Dopo la doccia, la cena e poi nove ore di sonno tranquillo, la mattina mi sveglio come nuovo.
Dall’albergo mi prenotano per la sera il prossimo albergo a Villafranca del Bierso dove arrivo nel primo pomeriggio. Solo 23 Km?! Una passeggiata, dopo avere dormito bene!
Così sono andato avanti, prenotando l’albergo la sera per il giorno dopo e trovando sempre persone gentilissime. Se arrivavo presto nel pomeriggio potevo fare anche un pisolino, poi la sera andavo ancora a camminare nei dintorni. In un negozio per i pellegrini ben rifornito trovai anche un sacco-lenzuolo da comprare, lo presi dato che non sapevo se avrei trovato sempre posto in albergo.
Una volta ricordo che due feroci mastini mi vennero incontro abbaiando in un posto dove ero completamente solo. Arrivati a pochi metri dai miei polpacci smisero di abbaiare e subito dopo se ne andarono, uno a destra e uno a sinistra, sparendo alla vista, mentre io seguitavo a camminare senza voltarmi. Dietro di me doveva essere apparso San Giacomo con un bel bastone in mano!
Camminavo e pensavo a Marita che avevo conosciuto oltre venticinque anni prima, a quei tempi ci vedevamo spesso per lavoro, adesso erano passati cinque o sei anni dall’ultima volta che ci eravamo incontrati. Alcuni mesi prima di questo mio viaggio, provando rivedendola qualcosa di imprevedibile, le avevo chiesto se voleva entrare nella mia vita.
Con una di quelle frasi che un’incontrollabile voce interiore ci fa dire, frasi che possono far nascere o morire un’amicizia, una guerra oppure un grande amore.
A Sarria incontro due finlandesi che venivano da Saint-Jean-Pied-de Port, era un mese che erano in cammino! Avevano visto il mio nome italiano seguito dalla provenienza "Finlandia" dentro a qualche chiesa che  avevo visitato anch’io. Anche con loro mi ritrovo a fare lunghi tratti di strada insieme, ci perdiamo e ci ritroviamo.
Una sera ho la brutta idea di andare a mangiare pollo allo spiedo in un ristorante. Mi viene dato del pollo di qualche giorno prima e accorgendomene chiedo scusa al cameriere di essere arrivato nel suo ristorante con due giorni di ritardo, ma lui fa finta di non capire l’ironia.
Cammino e penso alla mia vita passata con giorni di calma e giorni di grandi burrasche, specialmente gli ultimi anni quando la malattia della moglie si era fatta sempre più grave. Con Marita sento di aver raggiunto un porto dove non arrivano più tempeste.
Arrivo a Santiago e capisco perché molti proseguono fino a Finesterre, essere in viaggio è quello che conta, solo un ostacolo più grande di noi ci può fermare: l’Oceano Atlantico!
Ritrovo il francese, le due finlandesi, andiamo a brindare insieme.
Il giorno dopo ho il volo che mi riporta al nord, da Santiago a Barcellona, veloce corsa nell’aeroporto per la coincidenza su Copenhagen, e lì di corsa ancora più veloce per arrivare all’aereo per Helsinki.
Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa...

p.s. Da questo viaggio sono ormai passati due anni e mezzo, Marita è la mia anima gemella !